LA MALATTIA NON SEMPRE IMPONE AL LAVORATORE IL DIVIETO DI PRESTARE ATTIVITÀ LAVORATIVA IN FAVORE DI TERZI

La Cassazione, con la sentenza n. 15989 del 01.08.2016 ammette la possibilità che il lavoratore assente dal posto di lavoro per malattia presti diversa attività a favore di un terzo, a condizione che il lavoro prestato non incida sul decorso della malattia e non ritardi o comprometta la guarigione. Inoltre l’onere di provare la compatibilità tra stato di malattia e prestazione di lavoro per un terzo grava in capo al lavoratore, che nel caso non riesca a raggiungere la piena prova potrà essere licenziato per giusta causa.

Nel caso preso in considerazione dagli ermellini, una lavoratrice impiegata presso una società di ristorazione era stata assente per un periodo di un mese dal posto di lavoro per malattia perché affetta da una sindrome ansioso depressiva, provocata dall’ambiente di lavoro. Durante il periodo di assenza, concesso raggiungere una piena riabilitazione psichica, la lavoratrice aveva svolto attività lavorativa presso un terzo con mansioni di natura domestica e con orario di lavoro part-time. Per questa ragione la società di ristorazione presso la quale era impiegata la licenziava per giusta causa.

La Corte d’appello dichiarava l’illegittimità del licenziamento della lavoratrice e il suo immediato reintegro sul posto di lavoro, condannando la società al risarcimento del danno dovuto per l’ingiustificato licenziamento, commisurato alle retribuzioni globali di fatto maturate dal recesso all’effettivo reintegro, oltre rivalutazione, interessi e spese di entrambi i gradi.

Avverso la sentenza del giudice d’appello, la società di ristorazione proponeva ricorso in Cassazione deducendo il mancato assolvimento dell’onere probatorio posto a carico della lavoratrice che avrebbe dovuto provare la compatibilità in concreto della condizione di malattia con l’attività domestica svolta, in modo da non ritardare o compromettere la guarigione. La ricorrente lamentava che la corte d’appello avesse operato un accertamento solo ipotetico e che non avesse accuratamente appurato la natura delle attività di lavoro prestate in pro del terzo e della natura della malattia, di talché non sarebbe stato possibile verificare accuratamente la compatibilità della patologia con le mansioni svolte presso terzi.

La Cassazione ha affermato che secondo l’orientamento recente della medesima Corte (Cass. 3 marzo 2015, n. 4237): “non sussiste per il lavoratore assente per malattia un divieto assoluto di prestare, durante tale assenza, un’attività lavorativa in favore di terzi”, purché la prestazione stessa non faccia emergere una simulazione di infermità, ovvero importi violazione al divieto di concorrenza e non comprometta o ritardi la guarigione del lavoratore.

Secondo gli ermellini, non si potrebbe dunque avere giusta causa di licenziamento laddove non si sia raggiunta la prova della condotta fraudolenta del lavoratore, tenuta per potersi assentare dal lavoro al fine di svolgere un’attività diversa o concorrente, oppure incidendo sul decorso della malattia e sulle tempistiche di recupero ritardando il rientro sul posto di lavoro, danneggiando così il datore di lavoro.

 

Sarebbe dunque possibile svolgere attività lavorativa nel periodo di assenza per malattia, purché il lavoratore provi che l’attività lavorativa prestata in favore di terzi non incide in alcun modo sulla malattia stessa e sul suo naturale decorso, né sulle tempistiche e modalità di recupero di uno stato di salute che permetta al lavoratore di reinserirsi nell’attività di lavoro principale.

 

Studio Bruni